Navi perdute è il primo romanzo di Naomi J. Williams, uscito negli Stati Uniti nel 2015, e portato in Italia già nel 2016 dalla Neri Pozza Editore, nella meravigliosa traduzione di Maddalena Togliani. Il libro ripercorre, basandosi sulle fonti storiche, ma anche con la necessaria creatività del romanziere, le vicende della spedizione di Jean-Francois de La Galaup. Nel 1785 il ministero della Marina francese invia due navi da Brest verso ovest, per emulare e, nelle intenzioni, superare in fama i viaggi d’esplorazione del capitano inglese James Cook. Le due fregate, la Bussole e l’Astrolabe, affidate a Jean-Francois de Galaup de La Pérouse e a Paul-Antoine-Marie Fleuriot, visconte di Langle, attraversano l’Atlantico, doppiano Capo Horn, toccano le coste americane per poi attraversare l’Oceano Pacifico. Una spedizione partita sotto i migliori auspici, con comandanti capaci e un equipaggio preparato, ma che, dopo tre anni di navigazione, scompare misteriosamente tra le isole del Pacifico meridionale.
Il punto di forza del libro: impossibile sceglierne solo uno, perché Navi perdute è un vero gioiello. La Williams coinvolge nella narrazione più personaggi, a ciascuno dei quali fa raccontare una parte della spedizione. E di ognuno l’autrice crea un’immagine vivida, reale, a volte toccante, a volte fastidiosamente cruda, con un’abilità che è propria solo dei grandi scrittori. Su tutto aleggia un senso di catastrofe imminente, la sensazione fredda e viscida di qualcosa di terribile nascosto dietro la prossima onda, sulla prossima spiaggia.
Perché leggere Navi perdute: perché è un romanzo splendido, originale, avvincente, una storia minore che la Williams trasforma in un poema epico. Navi perdute è un romanzo storico, ma riesce ad affascinare come un thriller. Che la spedizione non porterà i risultati sperati è noto, e, se anche non lo fosse, l’autrice fin dalle prime pagine mette in chiaro che non tutti i partecipanti ritorneranno a casa. Eppure la scrittura eclettica della Williams, questa narrazione corale che coinvolge membri dell’equipaggio e abitanti delle colonie, aristocratici e semplici marinai, europei, amerindi e polinesiani, crea una tale empatia nel lettore, che egli spererà fino all’ultimo in un finale diverso.
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