È ormai arrivata l’estate ed Eloise si aspetta di trascorrere le prossime settimane impegnata con gli esami del suo primo anno di Università, per premiarsi poi con una settimana a Berlino. Ma, inspiegabilmente, suo padre ha già deciso diversamente: niente esami e, soprattutto, niente Berlino, ma una imminente vacanza in montagna, a casa degli zii.
Isolata in mezzo a un altipiano, con una connessione telefonica traballante e l’unica compagnia degli zii, Eloise è convinta che suo padre voglia punirla per qualcosa. Forse per il fatto di essersi tuffata nell’Adige per salvare una bambina, in un momento di coraggiosa follia? Anche sua madre aveva fatto follie simili, prima di sparire nel nulla, otto anni prima?
Per sfuggire alla noia, fa amicizia con Max, un ragazzo che lavora in un piccolo hotel poco distante e che, per raggranellare qualche soldo, viene ad aiutare lo zio di Eloise nei campi. Max è affascinante quanto enigmatico ed Eloise, mentre si innamora di lui, si rende conto che il ragazzo nasconde un segreto. Max, infatti, non è né un cameriere, né uno studente squattrinato, bensì fa parte di una organizzazione che ha l’obiettivo di eliminare gli esseri fatati. Max ed Eloise si trovano presto coinvolti in una caccia spietata, sfidando streghe d’acqua e giganti, una caccia in cui preda e predatore si confondono e non ci si può più fidare di nessuno.
Lo potete trovate qui.
Estratto: dal capitolo 3
[..] Eloise era salita in camera, approfittando di dieci minuti di libertà per sistemare i vestiti nel basso armadio di legno di pino. Il tragitto dalla stazione ferroviaria di San Moreno all’abitazione degli zii, il primo giorno, le era sembrato interminabile e da lì aveva supposto che la casa si trovasse lontanissima da qualsiasi centro abitato. Invece la zia le aveva spiegato che il paese di Petrago si trovava ad appena un paio di curve da lì e che la cittadina di Montedario, con il bel corso pieno di negozi, era a meno di venti minuti d’auto. La civiltà era praticamente dietro l’angolo e a Eloise bastava solo convincere lo zio a prestarle l’auto per ritornare a respirare un po’ di modernità. Spalancò le finestre, che al mattino socchiudeva appena per interrompere la fastidiosa vibrazione causata dal generatore, e si affacciò ad ammirare la distesa verde e grigia di quella piccola parte di Altopiano. Un movimento sotto di lei, seguito dall’incrocio di due voci che si salutavano, attirò la sua attenzione. D’istinto rientrò nel vano della finestra, cercando di non farsi vedere e, contemporaneamente, di non perdere una parola dello scambio di battute che avveniva nel portico.
– Bene, bene, sono proprio contento che Aldo ti abbia mandato da me – proseguiva lo zio – ho mia nipote, quest’estate, che mi aiuta ma, povera stella, non posso pretendere troppo. È già troppo brava così-.
Eloise aggrottò la fronte: fino a quel momento aveva pensato che lo zio la considerasse un peso. O forse lo zio non voleva sparlare della propria famiglia con degli estranei.
– Per me è un piacere – gli rispose una voce maschile, giovane e musicale – È anche un buon modo per mantenersi in forma – e il tono divenne quello di una risata.
Lo zio rise con lui:
– Alla tua età ci si mantiene in forma, alla mia si fa solo fatica! – e continuarono a ridere insieme.
Eloise si sporse per tentare di vedere il viso dello sconosciuto. La voce non le dispiaceva. Il patio si allungava sui due uomini in conversazione.
– Allora passo domani nel pomeriggio? – chiese la voce.
– Sì, dopo che hai finito con la sala da pranzo su all’albergo. Facciamo alle tre?–.
Lo zio riposava dall’una e mezzo fin quasi alle tre del pomeriggio, quindi, pensò Eloise, lo sconosciuto l’avrebbe aiutato al pascolo.
– Perfetto, signor Giuseppe. Ci vediamo domani – I pochi attimi di silenzio che seguirono erano per una vigorosa stretta di mano.
– Ciao. A domani – e finalmente le due figure si mossero, uscendo al sole. Dall’alto, Eloise notò prima di tutto la nuca, bionda e rasata, dello sconosciuto, il quale aveva piegato la testa guardando i tre scalini che scendevano dal portico. Non riusciva a vedere molto ma, quando l’uomo alzò il viso verso lo zio che era rimasto in cima alle scale, le parve che fosse giovane. Sicuramente era un tipo atletico. Lo seguì a lungo con lo sguardo, fino alla sbarra di ferro, che il giovane scavalcò con un balzo. Gli alberi, che già nascondevano l’albergo dall’altra parte della piana, eclissarono presto anche lui.
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