Denominazione di origine inventata – Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani è un libro diventato velocemente molto popolare. Il merito va innanzitutto al titolo, una contraddizione che mette in dubbio gran parte delle certezze sulle cosiddette eccellenze dell’enogastronomia italiana. Ma un titolo azzeccato non è sufficiente a tenere in piedi un libro di centosessanta pagine. A questo ci pensa Alberto Grandi, professore universitario di Storia Economica e di Storia dell’Alimentazione, un autore, quindi, che conosce bene quello di cui sta scrivendo. Pubblicato per Mondadori nel 2018, Denominazione di origine inventata parte da un presupposto molto semplice: in Italia (ma lo stesso discorso vale anche all’estero) i prodotti enogastronomici tipici, esaltati da marchi di tutela, disciplinari, sagre e confraternite, in realtà non esistono. O meglio, sono intelligenti creazioni del marketing, che non hanno più di una quarantina d’anni.
Il punto di forza del libro: è il giusto equilibrio tra rigore scientifico e ironia, che rende il libro istruttivo e allo stesso tempo divertente. Lo stile formale “tradisce” a volte il professore universitario, che però sa catturare nuovamente il lettore con un aneddoto spiritoso, come quello sugli Atzechi, che, come i Templari, sono ormai una “pietra angolare della storia umana. Quando una storia non sta in piedi, infilateci, a martellate se serve, gli Atzechi o i Templari e il gioco è fatto“.
E con lo stesso equilibrio, Grandi non nega la bontà dei prodotti della cucina italiana. Anzi, ne riconosce la qualità e l’originalità, smontando però tutta l’agiografia che vedrebbe Michelangelo passar più tempo ad ingozzarsi di Lardo di Colonnata e di Casciotta d’Urbino che non a dipingere la Cappella Sistina.
Perché leggere Denominazione di origine inventata – Le bugie del marketing sui prodotti tipici italiani: perché è un libro originale, nonostante l’autore spieghi che l’idea da cui è nato fosse già stata trattata da Eric Hobsbawn trent’anni fa. Lo storico irlandese aveva infatti dimostrato “che la tradizione si può inventare, che il passato si può manipolare ad uso e consumo del presente”, come gli scozzesi avevano fatto con il kilt. La stessa idea, trasportata sulle tavole italiane, ci deve servire per apprezzare quello che di buono hanno i prodotti italiani (la qualità delle materie prime, il sapore unico e originale), senza farci prendere per il naso dalle “tradizioni antichissime”, dai “gesti sapienti tramandati da generazioni”, dalle ascendenze romane, celtiche, medievali, templari e pure atzeche di prodotti che sono più moderni dell’Amarena Fabbri (peraltro buonissima e, quella sì, tipicamente italiana!).